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"In una caverna sotto terra viveva uno Hobbit. Non era una caverna brutta, sporca, umida, pieni di resti di vermi e di trasudo fetido, e neanche una caverna arida, spoglia, sabbiosa, con dentro niente per sedersi o da mangiare: era una caverna hobbit, cioè comodissima. […] Questo hobbit era uno hobbit veramente benestante, e il suo nome era Baggins. […] Questa è la storia di come un Baggins ebbe un'avventura e si trovò a fare e a dire cose del tutto imprevedibili. Può anche aver perso il rispetto del vicinato, ma in cambio ci guadagnò... bene, vedrete se alla fine ci guadagnò qualche cosa."

Queste sono le prime righe del romanzo "Lo Hobbit o la Riconquista del Tesoro" (1937), il libro con cui J.R.R. Tolkien ha presentato per la prima volta sotto una luce sostanzialmente fiabesca il "mondo" che poi svilupperà in chiave epico-mitologica ne Il Signore degli Anelli (1955 -proprio quest'anno il capolavoro tolkieniano compie 60 anni-).

Il poeta inglese W.H. Auden ha definito "The Hobbit" come "Una delle migliori storie per bambini di questo secolo" e, almeno dal mio punto di vista (nonchè da quello di moltissimi altri), aveva perfettamente ragione. Questo romanzo di 342 pagine, infatti, è perfetto per far sognare bambini e ragazzini, per rapirli con a favore le vorticose correnti ascensionali della fantasia tolkieniana e, parafrasando Manzoni, come pulcini negli artigli del falco tenerli sospesi in una regione sconosciuta, in un'aria che non hanno mai respirato. Chiudere "Lo Hobbit" dopo aver letto l'ultima pagina era come risvegliarsi da un bellissimo sogno ad occhi aperti... un sogno straordinariamente vivido.

E tuttavia, nonostante la significativa importanza che questo romanzo ha rivestito nella mia "formazione letteraria", almeno per quanto riguarda quella nata da ciò che ho avuto modo di leggere per puro e semplice intrattenimento, nonchè sul lato del progressivo delinearsi del "mio immaginario", si tratta pur sempre di un eccellente libro per ragazzi, un opera ben diversa dai tre libri che formano la celeberrima Lord of the Rings trilogy.

Ne "Il Signore degli Anelli", poi, la formula della trilogia cinematografica era praticamente un obbligo. Tre libri, altrettanti film. 1226 meravigliose pagine dense di avvenimenti, epica, eroismo, azione e sentimento.

L'idea di "trilogizzare" forzatamente anche "Lo Hobbit" mi è però parsa quanto mai discutibile fin dall'inizio. Appariva infatti evidente che 342 pagine di romanzo fossero largamente insufficienti per uno sviluppo cinematografico così esteso ed ambizioso. Ovvio che però l'intento era quello di massimizzare i profitti, puntando sul sicuro traino della "vera trilogia" e sull'indubbio fascino del seducente mondo tolkieniano.

Così Peter Jackson ha "giocato" moltissimo sul materiale letterario a disposizione dentro e fuori "Lo Hobbit", integrando generosamente quest'ultimo con svariari extra tratti da Appendici e Annali de "Il Signore degli Anelli", nonché da altri testi dell'autore sudafricano. E non si è certo limitato a questo, anzi... ha cambiato significativamente le carte in tavola e rimodulato in chiave più cupa e relativamente "epica" un taglio che originariamente era molto più leggero e brillante.

Il risultato è stato nel complesso deludente. La trilogia cinematografica "The Hobbit", infatti, è una sorta di pallida ombra distorta e claudicante di quella de "Il Signore degli Anelli". Non raggiunge volutamente la potenza epica e visionaria di quest'ultimo e non restituisce nemmeno la levità del romanzo di riferimento, risultando di fatto uno scialbo ibrido dove prevale il manierismo, la baracconata "fintolkieniana" fine a sè stessa, l'azione forzata ed estremizzata allo scopo di dissipare l'incombente noia, senza peraltro riuscire nell'intento.

Già il tono del libro... dov'è realmente possibile ritrovarlo nella trilogia cinematografica? Nel primo film "Un viaggio inaspettato". Quì in effetti si assapora un po' dell'originaria leggerezza che contrassegnava buona parte del romanzo (
Spoiler:
riuscitissima, in ogni modo, la scena madre che vedeva il memorabile incontro tra Bilbo e Gollum / Sméagol e il ritrovamento da parte del primo di un certo Anello...
). In seguito la vena comica o per lo meno ironica tende ad inaridirsi, salvo divenire forzata e sopra le righe, nonché in un certo qual modo soffocata dall'esigenza di dare una robusta "sferzata action", con tanto di "concessioni funamboliche", al faticoso dipanarsi della trama.

Probabilmente il film migliore è il terzo (fermo restando che il drago Smaug -che dal romanzo conoscevo come Smog... tanto per sottolineare l'"ecologismo tolkieniano"- è un altro "pezzo forte" della trilogia), ovvero "Lo Hobbit - La battaglia delle cinque armate". Per dirla come in "Johnny Stecchino" ... in buona sostanza è una sorta di "remix pseudo-hobbitiano" de Le Due Torri. Ovviamente a questo punto non mi aspettavo più alcuna fedeltà al romanzo di riferimento, con l'elefantiaco "corrispettivo" (per modo di dire) cinematografico che ormai proseguiva su un binario tutto suo... e così, con la fondamentale complicità di fotografia, costumi, effetti speciali e 3D, ho finito per gradire, sia pur senza particolari entusuasmi, il modo tanto creativo quanto potentemente dinamico/visionario in cui Jackson ha reinterpretato i capitoli XIV-XIX del libro.

Quale sarebbe stata l'ideale riduzione cinematografica de Lo Hobbit? Forse un film tendenzialmente disneyano più o meno "alla vecchia maniera", con tanto di canzoni (queste infatti sono molto più presenti nel romanzo che non nella trilogia cinematografica) e gag più o meno equamente distribuite lungo buona parte della pellicola. Ah... e ovviamente un film di tre ore (o due di 90 minuti o poco più) sarebbe stato più che sufficiente.