El topo (in spagnolo “la talpa”) è un film cult del 1970, scritto, diretto e interpretato dal cileno Alejandro Jodorowsky. Si tratta di western metafisico, unico nel suo genere, estremamente violento, ricco di metafore e riferimenti religiosi, cristiani e non. Tributo al cinema del grande Sergio Leone, El topo narra di un pistolero che, spinto da una donna salvata da un gruppo di banditi, va alla ricerca dei quattro maestri del revolver, con lo scopo di sconfiggerli per diventare il bounty killer più forte della regione.
El topo è un film complesso, su cui ci sarebbe molto da dire. Per adesso però ci fermiamo qui.
Travis Touchdown è un otaku, termine che letteralmente significa “chiuso in casa” e che indica un soggetto che coltiva ossessivamente una passione. In Giappone ha
La similitudine tra e due vicende è lampante: sia El topo che Travis, per amore di una donna, devono dimostrare di essere i migliori, come metafora della costante ricerca di se. Nonostante Travis possa sembrare un personaggio superficiale, in realtà non è così. Come El topo, l'otaku confida così ciecamente nelle sue capacità innate da non avere idea della realtà profonda che costituisce il suo animo e che andrà scoprendo negli scontri coi suoi avversari. Nel film, il
Un altro aspetto che accomuna il capolavoro cinematografico con questa perla del videoludo è la particolarità dei personaggi. Siamo ben lontani dai classici buoni e cattivi che i media ci propinano, dalle idee banali e superficiali di bene e male che vengono vendute come gli hamburger del McDonald's. Sia in El topo che in No more heroes questa distinzione non esiste. Il protagonista è un antieroe, se così si può definire, un personaggio privo di qualsiasi nobiltà. È un fallito che cerca disperatamente di dimostrare a se stesso di valere qualcosa. Allo stesso modo gli assassini non possono essere considerati malvagi. Ognuno di essi è caratterizzato in maniera eccelsa, fumettistica quanto basta per ammaliare il giocatore, ma non per questo privi di profondi risvolti psicologici. Questo character design potrebbe richiamare alla mente di alcuni, caratteri di tarantiniana memoria, ma Goichi non cita volutamente il Quentin del grande schermo, non solo perché quest'ultimo non gode di certo della stima di Jodorowsky, ma perché, alla base di No more heroes vi è una
Abbandonando a questo punto le digressioni filosofiche, diamo uno sguardo rapido al comparto tecnico del gioco. La grafica è realizzata in uno splendido cell-shading, tutt'altro che banale e, seppur parvo di particolari, di sicuro pregio stilistico. I retrogamer sbaveranno di fronte alla grafica richiamante a più riprese i cari vecchi pixel e le incursioni di alcune schermate d'altri tempi. Il tutto perfettamente integrato in un concept artistico tra i migliori mai realizzati nella storia del videogame.
Tutto questo sfocia in un gameplay geniale nella sua semplicità. L'implementazione del wiimote avviene in maniera saggia ed equilibrata, garantendo un divertimento assoluto e privo di qualsiasi frustrazione. I colpi con la katana, eseguiti premendo A, e quelli col corpo, premendo B, vengono intervallati da schermate che,
No more heroes entra così di diritto tra i capolavori del videoludo, non perché non abbia difetti, ma semplicemente perché di tali difetti non c'è alcun bisogno di parlare. Persino la censura, al solito incomprensibile ma almeno ben realizzata, passa in secondo piano di fronte a un'opera tanto profonda e tanto coinvolgente. Un gioco che nessuno dovrebbe lasciarsi scappare.
Per concludere la trattazione, aggiungiamo una piccola nota sul parallelismo tra i samurai e i bounty killer, che in No more heroes sembra ricorrere. È infatti diffusa
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