Ma partiamo da lontano: abbiamo già detto che Lovecraft amava ambientare i propri racconti in campagne e questo vale da ispirazione anche per Alone in the Dark che, più che ispirarsi a una singola novella, respira a pieni polmoni nell’universo dell’autore americano per proporci poi qualcosa di personale.
L’avventura comincia in una villa in piena campagna da un nome oramai storico, Derceto. Si tratta dell’abitazione di un ricco signore deceduto a causa di un apparente suicidio, tuttavia una sua cara amica, insospettita dalle strane circostanze, ingaggia un investigatore privato per far luce sul mistero. Anche la nipote dell’ex inquilino della villa capisce che qualcosa non va e viaggia alla volta della casa del mistero. Da qui nasce una prima novità: potremo scegliere se impersonare la facoltosa nipote o il mitico Edward Carnby, una sorta di Dylan Dog in età avanzata ma altrettanto carismatico, armato del suo incedere inglesino e di uno sfrontato baffone. Ovviamente, a seconda del personaggio scelto, l’avventura subirà dei cambiamenti. E’ importante stabilire subito il genere al quale Alone in the Dark appartiene: ai giorni nostri è facile inquadrarlo, è un normale survival horror. Peccato che all’epoca questa parola non esistesse, così come non esisteva nessun gioco accomunabile a questo in esame. Il fondatore fu proprio lui e, fu un piacere constatarlo, partì veramente forte. Lo scheletro del survival horror è composto da elementi molto diversi tra loro, sviluppati solo marginalmente, ma che messi insieme costituiscono un cocktail perfetto: esplorazione, enigmi, combattimenti. Le “dosi” utilizzate per la miscela servono poi a creare la personalità del prodotto, ma quello che ci interessa è che in Alone in the Dark siano tutti presenti e che funzionino a meraviglia. Forse la differenza maggiore è solamente una minor quantità di azione rispetto agli standard moderni che, tuttavia, non invecchiano il gioco, anzi, gli conferiscono una coerenza narrativa maggiore rispetto a titoli che ci inondano di assalti nemici oggettivamente poco giustificabili sul fronte della sceneggiatura. Ecco, vi è un altro elemento comune a gran parte dei survival horror: la visuale in terza persona da varie inquadrature. Questo letteralmente sconvolse i poveri utenti abituati alla solita telecamera dall’alto o di lato, ci si sorprendeva persino di una meno solita prospettiva isometrica. Alone in the Dark propose tutto il possibile e immaginabile per quel che riguarda la visuali: inquadrature a mezz’altezza, da dietro una statua, da sotto un tavolo, dal bordo di una ringhiera e chissà quant’altro. In questo climax sperimentale, alla Infogrames tendevano a farsi prendere la mano e non era affatto raro combattere con la fantasia dei grafici che, se da un lato ci proponevano scenari fortemente suggestivi, dall’altro esageravano con l’inventiva costringendoci ad affrontare momenti concitati da visuali particolarmente scomode. Ad ogni modo, il comparto grafico ha ispirato in toto la serie di Resident Evil ed è costituito da fondali in 2D e elementi, quali personaggi, oggetti e effetti speciali, in 3D. Per ogni locazione vi sono un gruppo di immagini rappresentanti le varie inquadrature possibili che cambieranno automaticamente con i vostri spostamenti. E’ presente anche una rudimentale forma di texture mapping su elementi come porte o bauli, mentre è implementato decisamente meglio il gouraud shading. Particolare menzione meritano le animazioni, naturali e realistiche, nei limiti di creature immaginarie e tecniche ben lontane dai moderni motion-capture. La riuscita dell’ambientazione è totale e l’atmosfera di Alone in the Dark rimane unica anche a distanza di anni: è un gioco compassato, assolutamente aderente all’ambiente rustico della sua sceneggiatura. Compassato non significa di bassa difficoltà, tutt’altro: il livello di sfida è regolato in base alla media dei giochi dell’epoca, elevato. Non solo i nemici sono piuttosto tenaci, soprattutto sono gli enigmi a mettere a dura prova le nostre doti intellettive: l’influenza da parte degli adventure è ancora forte e sarà fondamentale analizzare ogni angolo della casa per recuperare oggetti importanti da utilizzare in maniera spesso ingegnosa e il nostro cervello viene solleticato più soventemente che in titoli come Resident Evil o Silent Hill. Ogni piano della casa è come un livello a sé stante, con i propri enigmi da risolvere per accedere al piano inferiore. Si, perché partiremo dalla soffitta per scendere sempre di più in un’impennata di difficoltà fino ai meandri della terra, verso il cuore del male e difficilmente ci verrà richiesto di ritornare ai piani superiori per completare alcune azioni.
Un’ultima raccomandazione: evitate come la peste il film di Alone in the Dark, una roba non soltanto realizzata male ma completamente slegata da ogni videogioco della serie. Per il resto c’è poco da dire, ripeto che si tratta di un debutto col botto per i survival horror tanto che per chi ha giocato al capolavoro Infogrames i vari Resident Evil e Silent Hill, più che una rivoluzione, apparvero come la naturale evoluzione di un genere.