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Della pirateria e dintorni

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  • Della pirateria e dintorni

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ID: 245603Talvolta si sente l’opinione di persone che invitano ad acquistare giochi originali e si dichiarano contrarie alla pirateria. Chi, come me, è cresciuto negli anni '80 e '90 sa bene di cosa si tratta: allora forse più di ora tale fenomeno era al massimo del suo fulgore, incentivato dall'enorme diffusione dei vari computer Commodore, Atari, Sinclair, MSX, etc. Solo con Playstation, alcuni anni dopo, la pirateria tornò a essere un elemento rilevante nel panorama videoludico, divenendo talvolta anche motore trainante d’un sistema: non si può negare che parte del successo planetario della prima Playstation sia dovuto proprio alla possibilità di moddare facilmente la macchina per far girare giochi copiati, oltre ovviamente alle elevate qualità tecniche e ludiche degli stessi. A ciò s’aggiunga che, nella seconda metà degli anni ‘90, PC, masterizzatori e supporti CD cominciarono a entrare con sempre maggior frequenza nelle case di tutti.

    Un mio amico, ingegnere elettronico, m’ha fatto notare come l’architettura e il funzionamento del modchip della Playstation 2 siano abbastanza complessi, tanto da far sorgere il sospetto che solo chi ha direttamente lavorato alla progettazione della mainboard possa avere avuto accesso a quelle nozioni che permettessero d’ideare un chip dotato di tali funzionalità. Volontà esplicita di Sony o furberia di qualche scaltro dipendente…? Non è dato saperlo, ma pensare che la stessa azienda produttrice della console abbia acconsentito alla realizzazione e diffusione del modchip per incentivare la distribuzione capillare del suo sistema è tanto perverso, quanto stimolante sotto il profilo meramente speculativo. Un po’ come sostenere che i virus informatici siano sviluppati dalle stesse ditte che poi commercializzano gli antivirus.

    Al giorno d’oggi, secondo me, la pirateria videoludica ha un impatto decisamente meno forte sul videogiocatore medio rispetto al passato. Ciò è dovuto a una serie di fattori: la necessità d’un minimo di conoscenze informatiche, la grande quantità di dati che è spesso un deterrente per il download e, soprattutto, il fiorente mercato dell’usato. Quest’ultimo aspetto, in particolare, è diventato molto più preponderante rispetto a una volta, quando i giochi usati venivano acquistati tramite contrassegno rispondendo a inserzioni pubblicate su riviste specializzate. Un utente medio (ossia casual gamer costituiti da adolescenti svogliati e professionisti adulti) trova pertanto molto più semplice acquistare o scambiare con un amico un titolo di seconda mano che moddare la propria console, scaricare il file dal web, cercare informazioni su come masterizzare il disco e riprovare in caso d’insuccesso. Ipotesi queste forse discutibili, ma che nascondono un fondo di verità.

    Fermo restando che la pirateria è un reato perseguibile legalmente, un discorso a parte va fatto per il mondo del retrogaming: si può realmente parlare di pirateria in riferimento a un sistema defunto e non più ufficialmente supportato da alcuna software house? La pirateria informatica propriamente detta è, a mio avviso, quell’attività che intralcia e si sostituisce alla compravendita d’un software originale. Ma si può dire altrettanto a proposito d’un computer o d’una console il cui ciclo commerciale s’è esaurito da tempo e la copia del cui software non rappresenta in alcun modo un danno economico alle ditte che l’hanno prodotto? Non credo, ad esempio, che scaricare l’emulatore del PC Engine con i relativi giochi costituisca un reale danno per Nec e le software house interessate, alcune delle quali, tra l’altro, non esistono nemmeno più.

    Certo l’argomento va a toccare temi delicati e controversi in materia di copyright, diritto d’autore e proprietà intellettuale di un’opera, ma il retrogaming inteso in senso lato non è forse piuttosto un fenomeno di preservazione culturale di prodotti dell’ingegno che andrebbero altrimenti persi…? Se ci pensate bene, questo è un problema comune a tutte le opere audiovisive, siano esse radio, musica, cinema, videogiochi o quant’altro. Quando mai chi, come noi, è interessato allo studio dello storia videoludica potrebbe, per dire, provare un Magnavox Odyssey, se non grazie a un emulatore? Forse, con molta difficoltà, aggiudicandosi un’asta online a prezzi talora esorbitanti. Io stesso sto cercando da più di un anno di procurarmi un Amiga CD32: vuoi per sfortuna (o maggiore scaltrezza di altri acquirenti…), vuoi soprattutto per il costo eccessivo raggiunto da certe aste (alcune proprio non meritano tutti quei soldi!), non ci sono ancora riuscito. Allora mi chiedo se quest’eccessivo intento lucrativo legato al retrogaming (pare tipicamente occidentale se confrontato con i prezzi d’altri paesi), che va a tutto beneficio non d’una azienda, ma d’un privato, non sia più deprecabile della pirateria stessa. Tenendo sempre come riferimento il PC Engine, ci sono taluni giochi che hanno raggiunto cifre stratosferiche e forse non proporzionali all’effettiva qualità del gioco stesso: è il caso di “Sapphire”, il cui valore s’aggira attorno ai 300 euro (fate attenzione perché, tra l’altro, in rete esistono delle copie 1:1 assolutamente identiche all’originale). Seguendo quest’ottica arriveremo al punto in cui solo i più ricchi avranno accesso a quelle risorse, che saranno invece precluse alle persone con minori disponibilità economiche.

    Parlando da collezionista, è ovvio che io stesso prediligo possedere l’originale di ciò che m’interessa, ma, anche decidendo di sostenere spese folli, certi giochi sono realmente introvabili. L’enorme quantità di materiali disponibile in rete diviene così una ricchissima miniera di dati, alla quale è giusto che tutti abbiano accesso. Impedire a qualcuno di fruirne, sarebbe come impedire a uno studioso di consultare i libri contenuti nelle biblioteche. In tal senso emulazione, download e affini si mostrano sotto un’altra prospettiva, divenendo a mio giudizio uno strumento dall’elevato valore intellettuale. Penso esistano finalità più alte, come la conservazione d’un patrimonio storico, che vanno al di là di questioni puramente materiali. Un’opera dell’ingegno non dovrebbe forse essere patrimonio della collettività…? A voi la risposta.

    Luca "Synapsy" C.
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