Dragon's Lair ha il grande ed inarrivabile pregio di trovare in se stesso la propria ragione di esistere, con un'indomabile forza che ne mantiene vivo l'istinto di conservazione, e ne assicura il posto in prima fila nella breve storia dei videogiochi. Quando ancora non potevamo immaginare cosa si nascodesse dentro un cabinato da sala, e dovevano spiegarci la differenza tra un Laserdisc ed una scheda JAMMA, DL era quanto di più innovativo ed apparentemente rivoluzionario avessimo mai visto. Era più di quello che avremmo osato immaginare, per essere precisi. Non capivamo che quella giocabilità così particolare era un limite più che una dote, non ci sentivamo costretti dall'armatura di Dick perchè condividevamo con lui l'illusione di far parte - attivamente? - del futuro del divertimento elettronico. I cabinati di DL e Space Ace facevano più rumore, erano sistemati in posizioni strategiche ed emanavano un profumo di pulito, questo aroma d'agrume che ti faceva digerire l'esborso doppio rispetto ad un coin-op normale: giocare a DL ti faceva sentire più grande, perchè controllavi qualcosa di incredibilmente potente e costoso, qualocosa di americano, più grande di te e dei tuoi timidi sogni di videogicatore in erba. Infilare quei due gettoni diceva chi eri, ed infilarne tanti uno dopo l'altro gridava al mondo cosa ti potevi permettere. DL sapeva soddisfare al tempo stesso i nostri istinti più bassi e più alti. Da un lato i disegni di Don Bluth non nascondevano ammiccamenti sessuali, che a quell'età si insinuavano nelle nostre testoline, e ci spaventavano più del drago che avremmo dovuto sconfiggere. Dall'altro le luci sulle porzioni di pavimento da calpestare, o le semplici indicazioni di direzione, avevano un non | so | chè di trascendentale, religioso quasi: erano bagliori, lampi acceccanti, ed il saperli cogliere ed anticipare stabiliva un contatto misterioso e segreto tra il nostro joystick e qualcosa che stava a monte del videogioco, il destino glorioso di un eroe oppure la sua morte, per mano della scritta Game Over che si sarebbe abbattuta come una sciabola sulle nostre mille italianissime lire. Dragon's Lair era innovativo ed ostinato nella sua ripetitività, inaccessibile nelle sue meccaniche elementari, spettacolare nel suo rivelarsi senza scoprire l'idea semplice semplice che lo animava. Dragon's Lair era addirittura profetico, anticipatore di tendenze e soluzioni che le software house avrebbero adottato decenni più tardi per portare una ventata di aria nuova, ed incredibilmente stantìa. DL è il papà del Quick Time Event, di quel sistema per cui qualcosa di troppo bello e coreografico non ci sa vedere protagonisti, artecifici fino in fondo, e allora si getta la spugna, ed i comandi del pad diventano qualcosa di pericolosamente simile ai pulsanti di un videoregistratore. Si smanetta un po', e si guarda cosa succede. Nel momento in cui Shenmue è capace di vendere questo clamoroso passo indietro come l'ultima novità in tema di giocabilità, capiamo che anche nel nostro mondo di Gameplayer stagionati esistono corsi & ricorsi, che nulla si crea e nulla si distrugge, che DL è destinato a clonarsi su ogni console esistente (io ricordo la versione per C64) come la povera pecora Dolly, il nonnetto Tetris e l'esaltante Guitar Hero, ennesimo capolavoro... Konami.