Yoshi's Island è una prova di forza, un sogno bellissimo ed un alfiere della giocabilità prima di tutto, che ha rappresentato l'autoritaria risposta di Nintendo of Japan alla deriva tecnocartica dell'inglesissimo Donkey Kong Country di Rare: Yoshi è il terzo polo del videogioco, l'outsider che non ti aspetti, il trionfo del semi-serio e l'orgoglio di chi i giochi li fa innanzitutto col cuore.

Tecnicamente non si tratta di un titolo meno valido di DKC: al contrario, Yoshi può contare sotto sotto sul chippettino Super FX2 che distorce immagini e suoni (la musichetta di Yoshi sotto LSD è semplicemente indimenticabile) con una facilità, per l'epoca, assolutamente impressionante. Yoshi scorre che è un piacere, presentando qualche gradevole novità a livello di gameplay e successione dei livelli: l'originale sistema di puntamento, così come la roulette a fine stage sono solo alcune delle idee, supportate da una resa grafica eccellente ed originale, che costituiscono l'ossatura del titolo. Un'ulteriore dimostrazione di come questo sia un gioco programmato con passione ce la offrono i risultati assolutamente deludenti raggiunti dal sequel su N64, molto meno ispirato a dispetto di un hardware decisamente più potente.

Non credo sia esagerato definire questa cartuccia uno dei migliori esempi di platform 2D di sempre, soprattutto se si considera che la pubblicazione avvenne quando lo SNES viveva già la sua parabola discendente: a questo titolo, come alla serie di Donley Kong, toccarono l'onore e l'onere di difendere il 16 bit Nintendo dagli attacchi delle console a 32 bit (Saturn e Playstation), compito che fu portato a termine con assoluta dignità e rispettabili dati di vendita. Altro che "300".

Yoshi sono i fiori, il neonato Mario che urla a squarciagola mente il contatore scende, i passaggi segreti che scompaiono all'istante (autentica magia, senza disintegrarsi), la cicogna della presentazione e questo carillon in sottofondo, che al solo pensiero... mi... fa... addormentare... zzzzzzzzzzzz...