Il sistema di combattimento era legnoso e basato unicamente - e non prevalentemente - sulle combo, sbilanciando troppo la giocabilità a favore di una concatenazione meccanica | mnemonica | innaturale di movimenti. KI non filava liscio abbastanza, ecco cosa. Questo determinava una noia assoluta nel caso di scontri fra giocatori di primo e-pelo, un confronto impari nel caso il più sfortunato dei due fosse alle prime armi, ed un mero balletto di pollici nel caso di sfidanti entrambi esperti. KI era tutto sommato un gioco di nicchia, al quale si chiedevano i grandi numeri. Eppure, nonostante scelte di design insolite e la mia inettitudine con i picchiaduro, io stesso non seppi resistere al fascino virile della cartuccia nera, al CD audio dance incluso nella confezione ("such a killer, such a killeeer") e, sopratutto, a quel dorato logo RARE sullo scatolo (come scrivono in tanti su eBay) diventato il nuovo Seal of Quality, una specie di salvagente sui fianchi di ogni gioco pubblicato da Nintendo contro l'ondata dei nuovi titoli a 32 bit. E poi c'erano questi colori sparatissimi che facevano tanto arcade, questi corpi lucidi e gommosi, e questa propaganda secondo la quale la versione su cartuccia sarebbe stata incredibilmente fedele all'originale da sala, che come Cruis'n'USA e gran parte dei titoli Midway sprizzava comunque mediocrità da tutti i pixel. Nonostante i difetti, KI per SNES era comunque un gioco competente, che sfruttava in pieno le rinvigorite potenzialità dell'hardware sul quale girava: nonostante gli sfondi non scrollassero ed alcune animazioni risultassero pesantemente tagliate, Hawk e compagni rafforzarono il mito di RARE e contribuirono ad alimentare l'incredibile hype per l'uscita del Project Reality.