A tre anni dalla felice esperienza sulla prima Playstation, Snake decise di invadere anche i circuiti della seconda nata di casa Sony. O no? Diciamo che era quello che tutti pensavano, a partire dai milioni di utenti che acquistarono una copia di Zone of the Enders solo per gustare la demo di Metal Gear Solid 2. Ma un insolito riserbo aleggiava intorno a questo capitolo. Poche foto, pochi filmati e nessuna anticipazione sulla trama.
Hideo Kojima è la mente dietro la gloriosa serie Metal Gear, un forte innovatore con lo sguardo perennemente rivolto al cinema, costantemente impegnato ad avvicinarlo ai videogiochi, convinto della possibilità di una proficua convivenza. Non solo: Kojima, nei suoi lavori, ha sempre posto più di ogni altro l’accento sugli aspetti etici della vita, conferendo ad ogni gioco un’umanità ammirevole. Anche il più geniale dei game designer, tuttavia, può perdere la testa e credere di poter trasformare tutto in oro.
Dietro la penuria di informazioni su Metal Gear Solid 2 si celava, infatti, il peggior tradimento che si potesse mai ordire contro il supereroe più affascinante della storia recente e contro tutto il suo popolo di adepti: un cambio di protagonista, il confino a ruolo di compartecipante per Snake. Un’eresia, per farla breve, ma ci arriviamo tra un po’.
Il gioco, nel suo prologo, ci consente di vestire i panni di Snake durante una missione di ricognizione su di una petroliera alla ricerca di nuovi prototipi di Metal Gear. Si tratta di una sezione molto divertente, nella quale dovremo trastullarci a scattare delle foto al nuovo robottone gustandoci, tra l’altro, dei simpatici siparietti col nostro amico Otacon. Come da buona tradizione della serie, non tarderanno a svilupparsi degli imprevisti che ci caleranno immediatamente nell’azione che tanto ci aveva affascinato nel primo episodio. Insomma, dovessimo fermarci qui, ci sarebbero i presupposti per un altro capolavoro. Ma non possiamo.
Immediatamente dopo, il gioco vero e proprio ci presenta un nuovo protagonista, Raiden. Perché? Che Metal Gear Solid 2 vi sia piaciuto o meno, certamente vi sarete posti questa domanda. Raiden è un personaggio… vuoto. E’ un uomo dalle possibilità fisiche impressionanti, atletico, preparato, un soldato valido proprio come Snake. Però provate a immaginare uno Snake privato di tutto il suo carisma, cosa ne rimarrebbe? Carne da macello, un personaggio buono per riempire i livelli, uno di quelli clonati dozzine di volte durante una missione, senza personalità e indegno di qualsiasi sviluppo psicologico. Ecco, questo è Raiden, colui che nella sua esuberante anonimia scalzerà il nostro eroe dal suo posto.
Ve lo confesso: ho giocato Metal Gear Solid 2 nella trepidante attesa di una nuova inversione di ruoli. Vanamente. Sia ben chiaro, benché basterebbe per odiarlo, che l’unica colpa di Raiden non è quella di sostituire Snake. Nei piani di Kojima, la non-personalità di questo personaggio doveva assolvere due compiti: il primo, quello più importante, era di rappresentare il giocatore, un elemento variabile che per necessità andava interfacciato tramite un protagonista generico; il secondo era quello di fungere da spalla per Snake, consegnandone il controllo a Kojima che avrebbe potuto pilotarlo in maniera tale da esaltare ancor di più il personaggio. Il secondo punto viene centrato appieno, ma a quale prezzo! Ogni volta che Snake compare, egli trasuda di carisma in ogni suo movimento, in ogni sillaba pronunciata, in ogni aiuto offertoci, sminuendo ancora di più Raiden. Il problema è che Kojima ha totalmente fallito il primo bersaglio: Raiden non vale nulla come nostro alter ego, non coinvolgendo nessuno nel tentativo di riuscirci con tutti.
Metal Gear Solid 2 è un prodotto che potrebbe sembrare perfetto ad uno sguardo poco approfondito: la grafica, nel rispetto di ciò che è lecito attendersi da un titolo del 2001, è molto valida, sempre fluida e con i suoi momenti di spettacolarità; il sonoro non si fa mancare un riuscito doppiaggio ed ogni dettaglio estetico è minuziosamente curato. Mi dispiace sottolinearlo ancora: ciò che non va deriva quasi sempre dalla sceneggiatura. Per l’intera durata del gioco, escluso il breve prologo, vi muoverete lungo una base chiamata Big Shell, nella quale partirete con la ricerca di alcuni ostaggi. Vi accorgerete da subito che, per precise scelte di design che diverranno chiare solo in una fase molto avanzata del gioco, sarete continuamente assaliti da richiami al precedente capitolo della saga, con una sensazione di dejà-vu che, per quanto ricercata, rischia a più riprese di annoiare il giocatore. Come se ciò non bastasse, la mancanza di varietà trova un valido alleato nel Big Shell in cui è ambientato il gioco, un complesso costruito come una sorta di doppio esagono molto regolare, con sezioni intervallate da ponti scoperti.
Non so cosa pensare, sinceramente. Forse Kojima era troppo preso dal progetto Zone of the Enders per curare a dovere questo prodotto, ma la sensazione è più quella di uno sfasamento della sua attenzione, trasferitasi dalla cura per i videogiocatori alla divulgazione dei propri pensieri tramite un mezzo rivelatosi improprio.
Alla fine di tutto, come va giudicato questo Metal Gear Solid 2? Cosciente dell’apparente contraddittorietà di questa affermazione, lo ritengo contemporaneamente un mezzo fiasco e un buon gioco. Nonostante il quadro cupo che ho dipinto, non si può certo dire che il divertimento sia assente, anzi, ci sono momenti godibilissimi di fronte a noi: alcuni bei combattimenti, sconvolgenti colpi di scena, comandi fatti con criterio e tecnica apprezzabilissima. Ma stiamo parlando di un Metal Gear Solid e ci saremmo aspettati di più. A maggior ragione se pensiamo a quello che può offrire una Playstation 2 in fatto di giochi di azione, forse stilisticamente meno appassionanti di questo, ma indubbiamente più vari e longevi nel gameplay. Già, la longevità, altro tasto dolente: anche questo episodio dura poco, soprattutto se dovessimo calcolare le ore di gioco effettivo. In effetti credo che il tempo sia egualmente ripartito tra sezioni giocate e sequenze di intermezzo e, nonostante ciò, ci si mantiene distanti dalla decina di ore. Troppo poco.
Di gran lunga l’episodio più debole della saga, non meriterebbe nemmeno di farne parte. Anzi, se avesse avuto un titolo diverso, probabilmente avrei speso i caratteri a mia disposizione per elogiare un buon gioco, semplicemente non all’altezza di alcuni rivali. Ma si chiama Metal Gear.
Sette.