Gli anni ’90 sono stati caratterizzati dalla prima relativa massificazione dell’intrattenimento elettronico domestico che, in particolar modo sull’onda della notevole popolarità di console a 16 e 32 bit come Mega Drive, Super Nintendo e PlayStation, è divenuto sempre più diffuso, fino a lasciare tracce durevoli anche presso un immaginario collettivo non necessariamente confinato al popolo dei videogiocatori. Più in generale, nel decennio 1990-2000 la VG History è stata scritta principalmente nelle arcade board delle sale giochi, nelle cartridge del Neo Geo MVS, nei supporti silicei di MD e SNES e in quelli ottici della PSX e ha visto un coin-op in particolare riscuotere un successo così clamoroso da divenire un vero e proprio format, assurgere a riferimento a lungo incontrastato per uno specifico genere ed essere incoronato come vera e propria icona videoludica: Street Fighter II: The World Warrior.
Parafrasando una nota canzone di Raf, come potremmo rispondere dal punto di vista di videogiocatori di lungo corso all’ipotetica domanda “Cosa resterà degli anni… ’90”?. Un candidato ideale alla pole position sarebbe certamente il secondo picchiaduro ad incontri della celeberrima serie Street Fighter, sviluppato nel 1991 da una Capcom realmente in stato di grazia. L’influenza esercitata da questo VS beat ‘em up nei confronti della scena videoludica è stata enorme in ambito arcade come sul fronte domestico, avendo esso dato la stura ad una moltiplicazione parossistica di titoli del genere. Gli ultimi due lustri del ventesimo secolo, dunque, hanno visto in varia misura una pressoché costante presenza della “Street Fighter philosophy”, a partire dai primi seguiti del coin-op Capcom, per poi proseguire con i rivali e le alternative messi in campo da SNK (basti pensare al genere prevalente della Neo Geo lineup), Midway e Rare.
Quali sono i motivi di tale straordinario successo? Perché si può affermare che il più celebre beat ‘em up di tutti i tempi reca le stimmate del capolavoro? Per rendersi conto dell’inestimabile valore di questo gioiello di game design è necessario tenere debitamente conto dell’anno di realizzazione. La Capcom, infatti, pur essendosi avvalsa di un’arcade board potente e flessibile come il CP System, sviluppò, in ogni modo, un titolo molto ambizioso per un coin-op datato 1991. Se, infatti, la struttura del seguito di Street Fighter (1987) deve molto al predecessore, è ugualmente innegabile che quanto era ancora acerbo nel suddetto prequel vanta una notevole maturità tecnico-strutturale nel più “recente” e di gran lunga più celebre CPS game.
Salire su un’ideale macchina del tempo e tornare mentalmente indietro di quasi 20 anni tende a lasciare sconcertati di fronte all’impareggiabile arcade hit Capcom. Sembra, infatti, quasi inverosimile la modernità di questo titolo che, non solo vantava combattenti incredibilmente carismatici e una qualità audiovisiva assolutamente eccelsa, ma si avvaleva anche di una struttura che era, ed è, la quintessenza della perfezione, un mirabile esempio di raffinato equilibrio videoludico, un luminoso saggio d’eccellenza a livello di gameplay.
Street Fighter II: The World Warrior, dunque, è l’ABC dei picchiaduro ad incontri, il “testo cardine” in forma di coin-op, l’equivalente videogiochistico dalle “Sacre Scritture” per un genere che ha goduto di una straordinaria popolarità per buona parte degli anni ’90 e il primo esponente di una “dinastia” firmata Capcom di “Re dei beat ‘em up” che, relativamente alla flessibilità e alla profondità tecnica delle dinamiche di gioco, non ebbero praticamente rivali fino alla massiccia discesa in campo della SNK e, in particolar modo, della serie King of Fighters.
Il VS beat ‘em up per antonomasia non ebbe un vero e proprio seguito fino all’ottobre del 1993, quando la società di Osaka realizzò sulla sua nuova arcade board CPS-2 l’attesissimo Super Street Fighter II: The New Challengers. Il successo di SF II: The World Warrior, infatti, fu così clamoroso da permettere alla Capcom di “riposare sugli allori” per due anni “limitandosi” ad “upgrade” come SF II’: Champion Edition / SF II’: Dash (aprile 1992) e SF II’: Hyper Fighting / SF II’ Turbo: Hyper Fighting (dicembre ‘92).
Questi “aggiornamenti” del mitico coin-op datato 1991 introducevano alcune rilevanti novità, quali la possibilità di selezionare i 4 boss characters (ampliando, così, la rosa iniziale da 8 a 12 personaggi), i mirror matches, le prime differenziazioni tra le mosse di Ryu e Ken, alcune correzioni in ordine al bilanciamento dei combattenti, nuove special moves (essenzialmente varianti delle originali) e un aumento della velocità di gioco che si rendeva ancor più apprezzabile nel secondo upgrade.
Tra le numerosissime conversioni del celeberrimo picchiaduro ad incontri firmato Capcom e dei relativi “aggiornamenti”, spiccano per notorietà ed eccellenza qualitativa quelle per Super Nintendo (SF II: The World Warrior -giugno ‘92- e SF II Turbo: Hyper Fighting -luglio ‘93-), PC Engine (SF II’: Champion Edition / SF II’: Dash - giugno ’93) e Mega Drive (Street Fighter II′: Special Champion Edition / Street Fighter II′ Plus - settembre ‘93).
Tutti questi porting comportavano rilevanti problematiche tecniche dovute alla difficoltà di riprodurre dei coin-op che vantavano personaggi enormi, eccellenti animazioni, altissimo livello di dettaglio, generoso uso dei colori, multi-parallasse, pavimentazioni prospettiche, nitidi samples vocali e ottime musiche con corpose basi ritmiche campionate su sistemi domestici meno performanti del CPS-1 come PCE e MD e, in ogni caso, entro i severi limiti di memoria imposti dai supporti silicei. Fortunatamente queste attesissime conversioni furono sviluppate dalla stessa Capcom (in collaborazione con la NEC Home Electronics nel caso della versione PC Engine) che non mancò di valorizzare appieno le risorse dei rispettivi hardware utilizzando al meglio ogni singolo kB disponibile delle cart.
Una “Edition” davvero “Special”
Il primo porting streetfighteriano per Mega Drive, dunque, è preceduto da quelli per Super Nintendo e dal sorprendente SF II’ per PC Engine, uscite che contribuiscono ad alimentare nei possessori del 16 bit Sega un’attesa che sarebbe riduttivo definire spasmodica.
Dopo mesi di “rosicamento” generale nei confronti dei “cugini” SNES e NEC users, finalmente arriva il turno della console di Sonic, gratificata da una “Special Edition” piuttosto ricca. La Capcom, infatti, integra la conversione con una gustosa modalità “Hyper” che, analogamente a SF II Turbo per Super Nintendo, consente di incrementare la velocità di gioco selezionando un numero di “star” variabile tra 0 (praticamente “bullet time” se rapportato ai ritmi odierni) a 10 (“Velocità Smodata” -tanto per citare il film “Balle Spaziali”-). Altro interessante supplemento, questa volta in esclusiva per i Mega Drive users, è costituito dal "Group Battle Mode", una sottomodalità di “Champion” e ”Hyper” che contrappone due squadre composte da un numero variabile di combattenti in una serie di scontri ad eliminazione che anticipano a grandi linee la peculiare struttura di King of Fighters. Questa godibilissima variante del VS Mode, oltre a prevedere gruppi costituiti da un massimo di 6 elementi ed avvalersi della variante “Elimination” per "sboroneggiare" affrontando in sequenza fino a mezza dozzina di characters con un solo personaggio, beneficia di una notevole flessibilità rendendo disabilitabili le singole special moves dei contendenti.
Street Fighter II′: Special Champion Edition per Mega Drive, dunque, mette in campo due modalità base: “Champion”, essenzialmente l”Arcade Mode” di SF II’: Champion Edition e la già descritta “Hyper”, semi-equivalente del coin-op SF II’ Turbo: Hyper Fighting. Ognuno dei game mode suddetti offre due varianti al single player: il classico “V.S. Battle” e la già citata “Group Battle”, con quest’ultima che può essere svolta nei submodes “Match Play” ed “Elimination”. Se a tutto questo si aggiunge la presenza di ben 8 skill levels si comprenderà come questa straordinaria conversione goda di una notevole longevità e, con la possibilità di sfidare degli amici, possa considerarsi intramontabile, immarcescibile, praticamente eterna.
Significativa, poi, la vicenda legata al joypad del Mega Drive. In seguito al lancio di Street Fighter II′: Special Champion Edition, infatti, il controller standard del 16 bit Sega viene progressivamente sostituito da un modello dotato di 6 pulsanti che garantisce la migliore fruizione del titolo Capcom e di tutti gli altri picchiaduro ad incontri caratterizzati da sistemi di controllo difficilmente compatibili con il pad di default che, nel caso di SF II’: SCE, impone l’uso dello START come “switch key” tra pugni e calci… in pratica chi gioca ad alti livelli adattandosi a tale contorsionistico control system potrebbe avere un futuro come chitarrista in un gruppo power metal.
Quando scendono in campo i professionisti i risultati si vedono…
SF II’: Champion Edition e SF II’ Turbo: Hyper Fighting, i già citati “aggiornamenti” del leggendario SF II: The World Warrior che catalizzarono l’attenzione degli innumerevoli fan in attesa di Super Street Fighter II: The New Challengers, erano “clienti” decisamente difficili da “trattare” per qualsiasi team incaricato di convertirli su sistemi come PC Engine, Mega Drive e Super Nintendo. Stiamo, infatti, parlando di coin-op caratterizzati da un comparto grafico di altissimo livello che valorizzava appieno la CPS-1, una risoluzione di 384X224, una tavolozza di 3072 colori (da circa 100 a oltre 160 nuances a video) e una “taglia” superiore a 60 mbit.
Per fortuna tutti questi porting videro il coinvolgimento diretto della Capcom che, inevitabilmente, adottò dei supporti silicei particolarmente “capienti” al fine di “stivarvi” buona parte delle animazioni, dei dettagli grafici e gli “ingombranti” campionamenti vocali delle versioni arcade. Gli sviluppatori, infatti, dovettero “condensare” la ragguardevole mole di dati del coin-op in cartucce di 20 (SF II’: Champion Edition per PC Engine e SF II Turbo: Hyper Fighting per Super Nintendo) e 24 mbit (SF II′: Special Champion Edition per Mega Drive).
Chiaramente la Capcom, pur soddisfacendo in pieno le aspettative dei videogiocatori, non poteva fare miracoli.
Le conversioni, dunque, anche se tecnicamente eccelse, non possono dirsi “arcade perfect” avendo dovuto sottostare ad un sostanzioso snellimento grafico che non manca di manifestarsi nella risoluzione “livellata” su ogni sistema a 256X224 (standard su PCE e SNES, ma assai meno gettonata su MD, dove si prediligeva la 320X224), nei piccoli tagli subiti dalle animazioni, nella generale riduzione del dettaglio, nei compromessi in ordine ai colori (essenzialmente relativi al porting per il 16 bit Sega) nell’impoverimento di musiche e FX (in particolare su PCE e MD, con quest’ultimo che riguadagna in parte con la discreta resa delle BGM quanto perde con quella assai mediocre dei vocal samples).
Al di là delle inevitabili differenze tra i coin-op e le controparti domestiche, è particolarmente apprezzabile la cura con cui i programmatori hanno riprodotto tutti i dettagli salienti dei titoli originali. I personaggi sono ottimamente disegnati e godono di movenze pressoché analoghe a quelle dei “cugini” delle sale giochi, la pavimentazione prospettica è presente in ogni versione (anche su PCE, console che non beneficia di parallasse hardware come le rivali MD e SNES e, dunque, rinuncia al background multistrato pur mantenendo la suddetta prospettiva), la fluidità è perfetta su ogni sistema e il ritmo di gioco, già relativamente alto nel porting per la console NEC, diviene potenzialmente frenetico nelle conversioni per hardware Sega e Nintendo, opportunamente dotate di quell’utile variante garantita dalla “speed selection”.
La versione Mega Drive è penalizzata dal limite di 61 colori a video che impone ai grafici un certo impoverimento cromatico giacché, rispetto al coin-op, le sfumature presenti risultano dimezzate o ridotte a 1/3 a seconda della location. Questa relativa debolezza grafica del 16 bit Sega è evidente se si confronta SF II′: Special Champion Edition con le conversioni per Super Nintendo e PC Engine, caratterizzate da un numero di tonalità a video nettamente superiore. Nonostante tale inevitabile compromesso, l’estetica del porting su Mega Drive è ugualmente molto buona grazie ad un eccellente uso dei colori disponibili che si presentano come opportunamente scelti e distribuiti, garantendo, così, una resa visiva prossima a quella del celeberrimo arcade hit Capcom.
Qui cominciano le dolenti note
Il termine “note” del sottotitolo non si riferisce nello specifico a quelle musicali, vale a dire alle versioni domestiche delle conosciutissime BGM che appartengono a pieno titolo al mito di Street Fighter II, ma, più in generale, al comparto audio della conversione SF II′: Special Champion Edition per Mega Drive. Se infatti i memorabili temi del coin-op non hanno subito notevoli depauperamenti acustici nei porting per SNES e MD (qualitativamente inferiore alle altre due la versione PC Engine che, tuttavia, a differenza di quella per la console di Sonic, mantiene la resa stereofonica), lo stesso non può dirsi dei campionamenti vocali che risultano drasticamente peggiorati nella versione per il 16 bit Sega.
Anche se le affinità tra i chip Yamaha YM 2612 e il suo “parente” YM 2151, in dotazione rispettivamente al Mega Drive e alla CP System, potrebbero far pensare ad una riproduzione relativamente fedele delle musiche originali sulla console Sega, in realtà la sintesi realizzata sull’hardware domestico, pur essendo tutto sommato godibile, si presenta come assai meno incisiva della controparte arcade, risentendo della mancata implementazione della stereofonia e delle severe limitazioni imposte dal singolo canale utilizzabile anche per i campionamenti.
Sono proprio, per l’appunto, i samples vocali a costituire il vero punto dolente della versione Mega Drive che, sotto questo profilo, ad onta di una maggiore flessibilità della componentistica hardware dedicata all’audio, risulta inferiore a quella PC Engine. Le voci campionate, infatti, costituiscono l’apoteosi di quel famigerato ”effetto raucedine” molte volte riscontrato in digitalizzazioni analoghe presenti in numerosi titoli per il 16 bit Sega.
Questa mediocre riuscita si deve ad una combinazione di fattori che vanno dai limiti intrinseci del chip YM 2612 (ad esempio rapporto segnale/rumore di soli 14dB), alla scarsità di memoria disponibile imposta dal supporto siliceo (con conseguente adozione di samples a bassa frequenza), passando per i software tricks adottati dalla Capcom che, veicolando due samples in contemporanea sull’unico canale disponibile in una sorta di mixaggio in real time, hanno ulteriormente sacrificato la resa acustica delle voci sull’altare di una virtuale polifonia.
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