Come l’originale...
La struttura ludica riprende la formula dell'omonimo coin-op Data East, un titolo puzzle-action composto da più stage a schermata fissa. All’interno di quest’ultima scopriamo un complesso di piattaforme collegate da scale, secondo un layout diverso per ogni livello di gioco. Adagiati sui piani orizzontali si trovano gli ingredienti di enormi hamburger, costituiti da due fette di pane e da un companatico più o meno ricco di strati (carne, pomodoro, lattuga) a seconda dello stage. Il giocatore comanda lo sprite di Peter Pepper, cuoco di bianco vestito il cui compito è di muoversi attraverso lo schermo andando letteralmente a calpestare e schiacciare i diversi ingredienti, i quali quando vengono completamente compressi cadono al piano immediatamente inferiore, con effetto a catena per cui quando uno precipita sull’altro ne provoca a sua volta la discesa. L’intento finale di Peter è dunque quello di sospingere in questo sistema tutti gli strati verso il fondo dello schermo, in modo da unirli tra loro e completare così la preparazione di tutti i panini corrispondenti agli ingredienti sparsi sullo stage.
Il lavoro di Pepper sarebbe tutto sommato semplice, non fosse per la presenza di nemici che si aggirano in ogni livello sotto forma di hot-dogs, uova e fette di cetriolo, inseguendolo incessantemente. Peter può schiacciarli facendo loro cadere in testa i diversi strati di hamburger, ma si tratta di una soddisfazione fugace poiché dopo pochi secondi l’avversario eliminato spunta nuovamente come se nulla fosse. Il semplice tocco di uno di essi è invece la rovina del nostro cuoco, che perde così una vita (delle cinque iniziali, oltre una omaggio ogni 10.000 punti). Paradossalmente però con un minimo di accortezza questi antagonisti possono rivelarsi persino utili alla nostra causa: basterà infatti comprimere l’ultima parte di uno strato mentre uno o più di essi vi stanno camminando sopra per fare cadere sia l’ingrediente sia i nemici di ben due livelli orizzontali, in ragione del peso aggiuntivo degli avversari mandati in tal modo a farsi un viaggetto ai piani inferiori.
Se poi il nostro dovesse proprio trovarsi alle strette, ad aiutarlo abbiamo una scorta di pepe con cui Peter può al tempo stesso tramortire temporaneamente i suoi inseguitori e passarvi indenne attraverso. Le riserve di pepe, ovviamente contate, sono reintegrabili tramite appositi item che compaiono saltuariamente sullo schermo dopo che si è completata la discesa di un certo numero di strati, diverso per ogni stage.
Una disamina del gameplay di BurgerTime sarebbe però incompleta senza menzionare un particolare spesso trascurato ma certo fondamentale per la riuscita di questo titolo: i rivali di Peter Pepper cercano sempre di acchiapparlo, anche anticipando le sue mosse per tagliargli la strada, ma sono costretti ad un moto continuo e sono inabili ad invertire la propria direzione di 180°, in altre parole non sanno tornare sui propri passi. Tutto questo può ed anzi deve essere utilizzato dal giocatore per approntare una tattica utile ad eludere i loro attacchi e, nel migliore dei casi, a “raggrupparli” il più possibile, in modo da limitare il rischio di essere preso tra due fuochi.
...o meglio dell’originale?
Il sonoro è, molto semplicemente, un’eccellente riproposizione dell’originale, con l’immancabile musichetta mutuata dal coin-op, di quelle che dopo una lunga sessione di gioco rimangono in testa come un mantra per giorni interi. Gli effetti invece sono pochi ma buoni, specialmente quello del lancio di pepe.
L’aspetto più rilevante e in un certo senso innovativo di questa conversione è però la giocabilità in senso stretto. Innanzitutto va detto che i livelli di gioco (che si ripetono in loop) sono diversi per numero e caratteristiche rispetto all’arcade: non sei bensì sette; inoltre, mentre nella versione da sala i panini da completare erano quattro per ogni stage, con l’eccezione dei soli due hamburger da ben otto strati del quinto livello, qui ci troviamo a preparare tre panini nel primo e nel quarto stage e quattro nei restanti. Più in generale il level design è stato profondamente ripensato, con l’effetto di ottenere un layout complessivamente più indulgente, con schemi più aperti e meno vincolati alla programmazione di strategie a lungo termine. Anche la disposizione su schermo, più spiccatamente orizzontale rispetto al coin-op o alle conversioni più fedeli, aiuta a rendere meno frustrante l’esperienza di gioco soprattutto quando si cerchi di far cadere gli strati di hamburger insieme con i nemici, dal momento che la superficie degli ingredienti è più larga e consente di valutare con più calma l’attimo propizio per coprire l’ultimo tratto, ponendo più distanza tra lo sprite di Peter e i suoi antagonisti.
Tutto ciò non deve far pensare che questo BurgerTime si risolva in una trasposizione annacquata e senza mordente: è vero che il grado di sfida è sensibilmente inferiore, ma l’abilità del giocatore più tattico viene senz’altro ricompensata, e livelli come il quarto e soprattutto il settimo stage richiedono una buona dose di strategia o quantomeno un’ingente scorta di pepe. In pratica si tratta di una difficoltà perfetta per un titolo casalingo, che certo non ha la vocazione mangiamonetine tipica di un coin-op e deve prima di tutto e soprattutto intrattenere.
E qui veniamo al punto cruciale: questo BurgerTime riesce a divertire? Sì, tantissimo! L’essenza del titolo arcade è rimasta, ma è stata depurata degli elementi che lo rendevano a tratti troppo ostico per i giocatori meno esperti. Inoltre il controllo del protagonista è straordinariamente fluido e a volte, per brevi momenti di follia dettati da entusiasmo ludico, induce persino ad apprezzare il disco direzionale del controller Intellivision.
Le opzioni sono pochine, anzi a ben vedere si risolvono solamente nella modalità a due giocatori alternati e nella scelta della velocità di gioco. E tuttavia, viene da pensare che si potesse persino fare a meno di qualsiasi variante: sia perché la velocità più idonea è comunque quella di default (fastest, mentre le altre disponibili sono fast, medium e slow), sia perché il gioco è davvero un meccanismo perfetto, che ruota attorno al punto esatto di equilibrio tra divertimento e sfida, tra tattica e spasso, tra azione e relax.