Pur essendo ufficialmente un seguito, MGS 3 si svolge anticipando cronologicamente i due titoli precedenti. Questo elemento va così ad incidere sulla trama in sé ma anche sul gameplay vero e proprio. Partendo dalla storia scopriremo che stavolta il protagonista vestirà i panni del soldato dal nome in codice Naked Snake, saremo nel 1964 e le vicende che vivremo non saranno quindi effetto ma causa dei fatti a cui abbiamo assistito nella parte precedente di questa saga. Lo scenario è quello della guerra fredda, della crisi missilistica di Cuba. Un periodo epocale e storicamente gelido in cui le due grandi vincitrici del secondo conflitto mondiale, USA e URSS, gareggiavano tra loro nell’ambire al ruolo di unica super potenza esistente sul globo terrestre.
A livello di tipologia di racconto non si può parlare di rivoluzione ma sicuramente, per quanto il contesto fantapolitico continui a sussistere in maniera massiccia, non si percepisce quell’invasività narrativa avvertita in MGS 2 nel quale la fase effettiva di gioco era continuamente dilaniata da fitti dialoghi e lunghe scene di intermezzo. Per lo meno, ora, la quantità e la qualità delle sessioni interattive riesce a reggere il peso di quelle non interattive nonostante quest’ultime siano tutt’altro che esigue. Come accennato inizialmente, si è optato per un teatro storico che va ad influire sulle meccaniche ludiche stesse. Siamo negli anni ’60 e quindi dobbiamo scordarci l’utilizzo di gadget tecnologicamente avanzati come rilevatori, codec o quant’altro. Ciò ha comportato un maggior incremento ed attenzione alla fase d’infiltrazione, importante in questa sede ora più che mai. Non potendo prevedere la posizione precisa dei soldati nemici né il loro campo visivo, come avveniva comodamente in passato con tanto di coni colorati, saremo costretti a riflettere ripetutamente su ogni mossa prima di metterla in pratica ed evitare il più possibile gli scontri ravvicinati, molto più pericolosi che in passato visto il continuo susseguirsi delle truppe avversarie. A differenza dei capitoli precedenti il pensiero ricorrente è quello di
Graficamente viaggiamo su altissimi standard. La natura virtuale dà realmente l’idea di essere viva grazie alla creazione di una vegetazione e di una fauna dai comportamenti indipendenti ed, allo stesso tempo, reattivi al nostro passaggio. D’altro canto anche le costruzioni in cui ci imbatteremo si inseriranno senza stonature nel contesto naturalistico presentando un’assenza di ripetitività e un bilanciamento cromatico fatto a puntino. I modelli poligonali forse non rasentano la perfezione, non tanto nel dettaglio, ma nella modellazione dei volumi dei corpi che paiono, soprattutto visti da vicino, un po’ troppo rotondeggianti. Notabili dei rallentamenti, per di più piuttosto numerosi e legati presumibilmente all’accresciuta mole di contenuti da far girare. Fortunatamente, rispetto ad una volta, il fatto di essere costretti a prediligere la fase stealth con il suo ritmo lento, riesce ad occultare in parte questa lacuna. L’audio è da applausi: la colonna sonora è eccelsa spaziando dalle splendide melodie di background, capeggiate dall’estro di Harry Gregson-Williams, per arrivare agli incantevoli temi principali Snake Eater e Way to Fall composti rispettivamente dal sassofonista Norihiko Hibino e dal gruppo inglese Starsailor. Il doppiaggio è sublime confermando la bontà di quello precedente ed è riconfermato lo stato di grazia di David Hayer, ormai pienamente a proprio agio nei panni di Snake.