E in parte vi riuscirono. Così dopo la miracolosa conversione del celebre picchiaduro Capcom, Street Fighter II, Hudson soft riuscì a riprodurre quasi perfettamente quel monumento grafico che risponde al nome di Garou Dentsetsu special (1994)
Al di là dei tentativi di emulare il Neo Geo, la casa di Bomberman, forse conscia del fatto che non avrebbe più calcato da protagonista il mondo dei videogiochi, produsse il suo testamento intellettuale, optando per un genere iperinflazionato: Ginga Fukei Densetsu Sapphire, uno sparatutto.
Scelta in qualche modo scontata ma pericolosa visto che l’ombra di Winds of Thunder incombeva sicumera su ogni produzione del genere.
Sapphire spreme il Pc Engine all’inverosimile, oltre ogni immaginazione, mostrando cose che oggettivamente si pensavano improponibili.
Effetti di morphing, zoom, trasparenze, rendering, costellano ogni momento del gioco come spaventevole monito per la generazione di nuove console che si stava apprestando timidamente a muovere i primi passi.
Con la possibilità (cosa non ovvia nel Pc Engine) di giocare in due contemporaneamente, una volta selezionata una delle 4 protagoniste, si viene scaraventati in un avveniristico stage in stile Blade Runner con palloni aerostatici che dezoomano, immagini olografiche che si materializzano sulle sommità dei grattacieli (appare pure un tizio che sembra Sean Connery!) e una bella musica techno- metal che accompagna l’azione. Quando poi si avvicina un ragno meccanico che imperioso si erge dalle profondità dello stage, l’incalzante impennata ritmica della colonna sonora travolge i sensi e porta l’aspettativa sopra i livelli di guardia. Ci troviamo all’apice emozionale del gioco. Purtroppo. Sapphire dopo l’entusiasmo del primo stage perde di efficacia, ma soprattutto perde sé stesso. Gli schermi si succedono senza troppa coerenza stilistica passando attraverso campagne, chiese, castelli, piramidi, tradendo l’impatto e le aspettative iniziali, e negando una linea unificatrice convincente. Gli stessi boss di fine livello (un’enorme testa, un’elica…) sembrano succedersi in sequenze atte a dimostrare uno sterile esercizio di stile che si traduce in povertà di idee. Il Pc Engine aveva saputo offrire di meglio anche senza l’innesto di memoria e questa pletora di effetti.
Ad abbassare ulteriormente il valore medio del prodotto, oltre al suo game poco brillante, corre in soccorso pure una velocità di gioco francamente poco gratificante e un’originalità concettuale che non si erge al di sopra della mediocrità. Il tutto condito dal fatto che la macchina che ospita il gioco ha una propensione allo sparatutto ineguagliabile.
Il comparto sonoro è possente, con granitiche sezioni haevy metal, spesso accompagnate da tastiere dal vago sapore techno-sinfonico. Ineccepibili tecnicamente, ma che non possono non far tornare alla mente le atmosfere e certi passaggi dell’irraggiungibile Winds of Thunder.
Ecco perché potrebbero risultare meravigliose per molti, ma al contempo insospettire chi ha giocato al capolavoro Red.
Constatato che il reparto sonoro risulta, per quanto in parte già sentito, notevole e che quello estetico presenta luci e ombre in egual misura, non resta che sviscerare il gameplay.
Forti di un pod a ricerca che si innesca esattamente all’inverso di R-Type, ovvero lasciando il fuoco inerte, le navette deambulano faticosamente per lo schermo, incapaci di evitare i colpi che la marmaglia nemica non lesina a scoccare. Ad accompagnare i pod due scudi laterali e la possibilità di potenziare i soliti spari tricromi. Partita dopo partita, ci si rende conto che il senso di deja vu si fa frustrante. Le sessioni di gioco tendono ad assomigliarsi pericolosamente, lasciando all’utente poca voglia di memorizzare le sequenze d’attacco nemiche. L’adrenalina non scorre, la pupilla non schizza, il sudore non gronda. Sembra sempre di morire secondo un medesimo canovaccio che non permette di evitare l’implacabile game over. Ed è in quel momento che il giocatore disilluso potrebbe far migrare i suoi ricordi ai cabinati di un Raiden qualsiasi, quando giocare voleva dire perdere peso.
Un’altra cosa va detta, Sapphire con i suoi 300 euro e passa è uno dei giochi più costosi della storia. Ma non li vale di certo.
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